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200 capitolo iv

spazio metrico-proiettivo, viene anzitutto a determinarsi la rappresentazione di questo, come quella di uno spazio infinito; la illimitatezza della linea retta nei riguardi ottici e meccanici, e il suo aspetto ottico di «linea aperta», escludono infatti la rappresentazione riemanniana.

Tuttavia resta ancora da spiegare come si pervenga al postulato d’Euclide, escludendo la rappresentazione iperbolica di Lobatschewsky.

È naturale di paragonare per questo le due rappresentazioni, tattile e visiva, che ci formiamo delle rette parallele.

Queste si presentano nell’aspetto ottico come rette di un piano non secantisi e, precisamente, come limiti di rette secantisi in un punto lontano. Nella rappresentazione tattile si presentano invece come linee equidistanti.

L’associazione porta che due parallele vengano concepite come rette (di un piano) equidistanti. E l’ipotesi dell’esistenza di due rette siffatte involge notoriamente il postulato d’Euclide delle parallele; in altri termini porta a riconoscere come unica la retta i cui raggi sono otticamente paralleli ad un’altra retta data, secondo le sue opposte direzione.

Così dunque, il postulato delle parallele nasce dall’associazione tattile-visiva che ci porta al concetto metrico-proiettivo dello spazio.

Questo concetto, comunque si possa discutere intorno al suo esatto valore reale, resta sempre nella sua formazione subiettiva euclideo. Ma la critica, che ne ha successivamente decomposto gli elementi costruttivi, è venuta appunto a sciogliere dapprima le associazioni più complesse e recenti, leganti insieme i dati di sensi diversi, per risalire quindi sempre più indietro, fino alle origini del processo di formazione.


Le spiegazioni innanzi accennate intorno alla genesi del postulato d’Euclide possono ricevere conferma dallo studio della Geometria dei ciechi-nati?

E trovano esse, d’altra parte, un appoggio nella storia della Geometria non euclidea?

Alla prima domanda sembra si debba rispondere: se il postulato euclideo nasce da un’associazione tattile-visiva, i ciechi-nati non ne avranno alcuna nozione intuitiva.

Tuttavia questa supposizione è a priori inammissibile, giacchè appare chiaro che, mancando la vista, altre esperienze tattili-muscolari conducano nel loro complesso ad una rappresentazione euclidea dello spazio. E così avviene di fatto; noi stessi abbiamo potuto assicurarcene.

Tuttavia si può pensare che i ciechi-nati non debbano provare la repugnanza ordinaria verso l’ipotesi non euclidea. Ci sarebbe piaciuto assai di chiarire questo punto. Ma per verità giudichiamo insufficiente l’esperimento fatto nell’istituto di Bologna, presso un cieco-nato fornito di una certa coltura geome-