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la geometria 181

senta come una proiezione bicentrale, cioè come una duplice e simultanea proiezione dell’oggetto, da due centri sopra due piani.

Se domandiamo al matematico che cosa possa trarsi da una tale rappresentazione, egli non avrà che a ricorrere agli studii sulla Fotogrammetria, cui si riferiscono i recenti lavori di Hauck e di Finsterwalder.

Due proiezioni dell’oggetto bastano, com’è evidente, a ricostruirlo, quando sia dato il sistema di proiezione, dati cioè i centri ed i quadri rispettivi. Allora anche la determinazione della distanza fra due punti, di cui vengono assegnate le immagini, può essere determinata in base a certi elementi metrici che appartengono al sistema dato, cioè, la distanza dei centri della visione dalle rispettive retine e l’inclinazione dei piani di queste per ogni adattamento dato.

In mancanza di tali elementi quattro immagini di un oggetto bastano a ricostruirlo a meno di una similitudine; cinque immagini (fra cui intercedano i dovuti legami) ne determinano di più la grandezza.

Come si dovranno interpretare questi resultati in ordine al nostro problema?

I dati visivi attinenti alle molteplici immagini che possiamo formarci di un oggetto col muover gli occhi, contengono gli elementi da cui si può dedurre matematicamente il confronto delle distanze, ma questo non ha un senso proprio per riguardo alle singole immagini; di più il giudizio delle distanze non può ritenersi neppure come dato immediatamente dalla visione binoculare, perchè gli elementi metrici del corrispondente sistema di proiezioni sono in parte dati anatomici, in parte dati variabili di accomodamento, e non possono riguardarsi come noti all’osservatore prima dell’esperienza visiva, e dei confronti e delle associazioni con altri sensi, che essa implica.

Così l’estensione della facoltà visiva alla percezione della forma e della grandezza degli oggetti deve essere acquisita da uno sviluppo empirico.

La necessità di tener conto dei dati di altre sensazioni associate alla vista, nello sviluppo suddetto, emerge anche dalla teoria che considera il senso della vista come differenziatosi, nell’evoluzione, dalla generale sensibilità tattile; imperocchè allora si deve ammettere una certa percezione immediata delle distanze, puramente subiettiva, secondo la quale si percepisca coll’occhio la distanza apparente fra due punti, in base alla lunghezza della sua prospettiva sulla retina. Questo elemento di giudizio innato, che è anche in relazione colle sensazioni muscolari inerenti ai movimenti dell’occhio, non può esser corretto che da una più larga esperienza, ove intervengano i movimenti dell’osservatore e le altre sensazioni connesse.


Le induzioni precedenti si basano sopra la considerazione anatomo-fisiologica dell’organo della vista. Esse riescono bene corroborate da uno studio della questione sotto l’aspetto psicologico.