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i problemi della logica | 125 |
Così la rappresentazione concettuale appare, rispetto alla realtà, un’astrazione, per cui un insieme di oggetti viene isolato col pensiero da tutte le condizioni complicatrici, o fattori di variazione. E questa astrazione implica un atto volontario di supposizione, in cui già abbiamo ravvisato come la premessa al riconoscimento del fatto scientifico, che si compie colla verificazione.
È in nostro arbitrio di costruire i concetti rappresentativi di un gruppo di fatti, astraendo da quelle qualsiasi condizioni complicatrici che nelle prime osservazioni appaiono trascurabili, e di procedere deduttivamente su questa base; ma i rapporti così dedotti hanno soltanto una realtà ipotetica, essi si troveranno veri soltanto entro i limiti in cui gli elementi trascurati non importano una variazione sensibile.
L’ipotesi che l’invarianza dei rapporti sostanziali e causali apparterrebbe rigorosamente ai fatti concepiti, se non si fossero isolati dalle condizioni concomitanti, significa soltanto che gli errori inerenti alla rappresentazione concettuale si correggono, i limiti della rappresentazione si estendono nei riguardi della verità delle conseguenze dedotte, quanti più elementi reali si facciano entrare nei concetti rappresentativi. L’universalità delle rappresentazioni di sostanza e di causa, non ha alcun senso fuori di questa interpretazione.
§ 25. Il valore reale dei principii logici.
Le precedenti considerazioni ci avviano a discutere il problema che concerne il significato reale dei principii logici.
Si tratta di un’antica questione già dibattuta nella filosofia greca tra gli Eleati e gli Eraclitei, ed in altra veste rinnovata ai nostri tempi fra Hegel e Herbart.
Quando consideriamo i principii d’identità e di contraddizione come riferentisi ad oggetti fisici, noi veniamo ad affermarne l’immanenza, almeno sotto il punto di vista secondo cui essi vengono concepiti. Ragionare su di una cosa qualunque è supporre che essa rimanga invariabile.
Tale è il pensiero della scuola d’Elea. La quale viene naturalmente condotta a proclamare l’immanenza del mondo, conforme alla permanenza dei concetti nel nostro spirito, e, per bocca di Parmenide e di Zenone, giunge a negare con artificiosi sofismi il cambiamento ed il moto.
Tuttavia alla sottile dialettica, nella quale si compiaceva il fine spirito greco, contrastavano i fatti; nè vi era bisogno di una scienza sperimentale molto sviluppata per smentire tali conclusioni. La scuola di Eraclito venne dunque ad impugnare la fissità dell’universo proclamando il cambiamento; πάντα ῥεῖ.
Ora il nodo della questione sembra consistere in questo: i requisiti formali della rappresentazione logica esprimono soltanto qualcosa di psicologico, che non è a priori applicabile al mondo fenomenico rappresentato. Perciò i prin-