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[145-169] libro ii. 57

145Lo piangon tutti! A questo Palamede,
A cui per parentela era congiunto,
Il pover padre mio ne’ miei prim’anni
Pria per valletto nel mestier de l’armi,
Poi per compagno a questa guerra diemmi.
150Infin ch’ei visse, e fu ’l suo stato in fiore,
Fioriro anco i miei giorni; e l’opre e ’l nome
E ’l grado mio ne fur tal volta in pregio.
Estinto lui (che per invidia avvenne,
Com’ognun sa, del traditore Ulisse)
155Amaramente il piansi. E ’l caso indegno
D’un tanto amico, e la mia vita oscura
Tra me sdegnando, come soro e folle
Ch’io fui, nol tacqui. Anzi se mai la sorte
Mel consentisse, o se mai fossi in Argo
160Vincitor ritornato, alta vendetta
Ne gli promisi, e con minacce e motti
Acerbi acerbamente il provocai.
     Questo fu del mio mal prima radice;
E quinci de’ suoi falli e del mio duolo
165Consapevole Ulisse, a spaventarmi,
A travagliarmi, a seminar susurri
Si diè nel volgo, e procurarmi inciampi
Ond’io cadessi. E non cessò, ch’ordimmi
Per mezzo di Calcante.... Ma dov’entro,


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