Erano in preda al fero augel di Giove,
Com’or, sottratti dal suo crudo artiglio, 635Rimessi in lunga ed ozïosa riga
Si rivolgono a terra, e già la radono.
E sì com’essi con gioiose ruote
Trattando l’aria, col cantar, col plauso
Mostrato han d’allegria segno e di scampo; 640Così placato il mare, a piene vele,
E le tue navi e gli tuoi naviganti
O preso han porto, o tosto a prender l’hanno:
Vattene or lieto ove ’l sentier ti mena.
Ciò detto, nel partir, la neve e l’oro, 645E le rose del collo e de le chiome,
Come l’aura movea, divina luce
E divino spirâr d’ambrosia odore:
E la veste, che dianzi era succinta,
Con tanta maestà le si distese 650Infino a’ piè, ch’a l’andar anco, e Dea
Veracemente e Venere mostrossi.
Poscia che la conobbe, e la sua fuga
O fermare o seguir più non poteo,
Con un rammarco tal dietro le tenne: 655Ahi! madre, ancora tu vèr me crudele,
A che tuo figlio con mentite larve
Tante volte deludi? A che m’è tolto