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[870-894] libro xii. 599

870Del nome e de l’origine vantando
Se ne gía degli antichi avi e bisavi
Latini regi) fu d’un balzo a terra
Da la furia d’Enea spinto e travolto;
Sì che di lui, del carro e de le ruote
875Fatto un viluppo, i suoi stessi cavalli,
Il signore oblïando, incrudelîrsi,
E sotto al giogo e sotto ai calci accolto
L’infranser, lo pîgiâr, lo strascinaro
E l’ancisero alfine. Ilo, che fiero
880E minaccioso avanti gli si fece,
Seguì Turno a ferir di dardo, in guisa
Che de l’elmetto la dorata piastra
E le tempie e ’l cerebro gli trafisse.
Nè tu, Crèteo, di man di Turno uscisti,
885Perchè de’ più robusti e de’ più forti
Fosti de’ Greci. Nè di man d’Enea
Scampâr Cupento i suoi numi invocati:
Chè nel petto ferillo, e non gli valse
Lo scudo che di bronzo era coverto.
890E tu che contra a tante argive schiere
E contra al domator di Troia Achille,
Eölo, non cadesti, in questi campi
Fosti, qual gran colosso, a terra steso.
Ma che? Quest’era il fin de’ giorni tuoi:


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