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530 l’eneide. [595-619]

595Ma se l’onor ti muove, e se concepi
Di te tanto in te stesso, e tanto agogni
O la donna o la dote, a che non osi
Contro a chi te ne priva? A Turno adunque
Regno col nostro sangue e regia moglie
600Procureremo: e noi vili alme, e turba
Non sepolta e non pianta, a’ cani in preda
Giaceremo in su’ campi? Or tu, tu stesso,
Se tanto hai d’ardimento e di valore
Dal paterno legnaggio, a lui rispondi,
605A lui ti volgi, che ti sfida e chiama.
     Turno ch’impetuoso e vïolento
Era da sè, questo parlare udito,
Alto un gemito trasse, e d’ira acceso
Così proruppe: Usanza tua fu sempre,
610Drance, allor che di mani è più bisogno,
Oprar la lingua; essere in corte il primo,
L’ultimo in campo. Ma non più parole
In questo loco, che già pieno troppo
Ne l’hai; pur troppo grandi e troppo gonfie
615L’avventi, e senza rischio or ch’i nemici
Son lunge, e buone fosse e buone mura
Ci son di mezzo, e non c’inonda il sangue.
Apri qui bocca al solito, e rintuona
Con la facondia tua. Tu, che sei Drance,


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