Pagina:Eneide (Caro).djvu/547

506 [1-19]

DELL’ENEIDE


Libro Undecimo.


 
     Passò la notte intanto, e già dal mare
Sorgea l’Aurora. Enea, quantunque il tempo,
L’officio e la pietà più lo stringesse
A seppellire i suoi, quantunque offeso
5Da tante morti il cor funesto avesse;
Tosto che ’l sole apparve, il voto sciolse
De la vittoria. E sovra un picciol colle
Tronca de’ rami una gran quercia eresse:
De l’armi la rinvolse, e de le spoglie
10L’adornò di Mezenzio, e per trofeo
A te, gran Marte, dedicolla. In cima
L’elmo vi pose, e ’n su l’elmo il cimiero,
Ancor di polve e d’atro sangue asperso.
L’aste d’intorno attraversate e rotte
15Stavan quai secchi rami: e ’l tronco in mezzo
Sostenea la corazza che smagliata
E da dodici colpi era trafitta.
Dal manco lato gli pendea lo scudo:
Al destr’omero il brando era attaccato,


[1-11]