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504 l’eneide. [1392-1416]

Darmi tu morte. Or nè la morte io temo,
Nè gli tuoi Dei. Non più spaventi. Io vengo
Di morir desioso; e questi doni
1395Ti porto in prima. E ’l primo dardo trasse:
Poi l’altro e l’altro appresso: e via traendo
Gli discorrea d’intorno. Ai colpi tutti
Resse il dorato scudo. E già tre volte
L’un girato il cavallo, e l’altro il bosco
1400Avea de’ dardi nel suo scudo infissi,
Quando il figlio d’Anchise, impazïente
Di tanto indugio e di sferrar tant’aste.
Visto ’l suo disvantaggio, a molte cose
Andò pensando. Alfin di guardia uscito
1405Addosso gli si spinse, e trasse il tèlo
Sì che del corridore il teschio infisse
In mezzo de la fronte. Inalberossi
A quel colpo il feroce, e calci a l’aura
Traendo, scalpitando, e ’l collo e ’l tèlo
1410Scotendo, s’intricò; cadde con l’asta,
Con l’armi, col campione a capo chino,
Tutti in un mucchio. Andâr le grida al cielo
De’ Latini e de’ Teucri. E tosto Enea
Col brando ignudo gli fu sopra e disse:
1415Or dov’è quel sì fiero e sì tremendo
Mezenzio? Ov’è la sua tanta bravura?


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