Pagina:Eneide (Caro).djvu/544

[1367-1391] libro x. 503

E che tu del mio duolo e de la morte
Di lui vendicator meco sarai;
O che meco, se vano è ’l poter nostro,
1370Finirai parimente i giorni tuoi;
Chè la tua fè, cred’io, la tua fortezza
Sdegnoso ti farà d’esser soggetto
A’ mieî nemici, e di servire altrui.
     Così dicendo, il consueto dorso
1375Per sè medesmo il buon Rebo gli offerse,
Ed ei l’elmo ripreso, il cui cimiero
Era pur di cavallo un’irta coda,
Suvvi, come potè comodamente,
Vi s’adagiò. Poscia d’acuti strali
1380Ambe carche le mani, infra le schiere
Lanciossi. Amor, vergogna, insania e lutto
E dolore e furore e coscïenza
Del suo stesso valore accolti in uno,
Gli arsero il core e gli avvamparo il volto.
     1385Qui tre volte a gran voce Enea sfidando
Chiamò; che tosto udillo, e baldanzoso,
Così piaccia al gran Padre, gli rispose,
Così t’inspiri Apollo. Or vien pur via,
Soggiunge. E ratto incontro gli si mosse.
1390Ed egli: Ah dispietato! a che minacci,
Già che morto è ’l mio figlio? in ciò potevi


[863-879]