Pagina:Eneide (Caro).djvu/538

[1120-1244] libro x. 497

1220Sta qual pilastro in sè fondato e saldo.
Poscia ch’a tiro d’asta avvicinato
Gli fu d’avanti, O mia destra, o mio dardo,
Disse, che dii mi siete, il vostro nume
A questo colpo imploro: ed a te, Lauso,
1225Già di questo ladron le spoglie e l’armi
Per mio trofeo consacro. E, così detto,
Trasse. Stridendo andò per l’aura il tèlo;
Ma giunto, e da lo scudo in altra parte
Sbattuto, di lontan percosse Antore
1230Fra le costole e ’l fianco, Antor d’Alcide
Onorato compagno. Era venuto
D’Argo ad Evandro: e qui cadde il meschino
D’altrui ferita. Nel cader, le luci
Al ciel rivolse e, d’Argo il dolce nome
1235Sospirando, le chiuse. Enea con l’asta
Ben tosto a lui rispose. E lo suo scudo
Percosse anch’egli, e l’interzate piastre
Di ferro e le tre cuoia e le tre falde
Di tela, ond’era cinto, infino al vivo
1240Gli passò de la coscia. Ivi fermossi,
Chè più forza non ebbe. Ma ben tosto
Ricovrò con la spada, e fiero e lieto,
Visto già del nemico il sangue in terra
E ’l terror ne la fronte, a lui si strinse.

Caro. — 32. [771-788]