Pagina:Eneide (Caro).djvu/537

496 l’eneide. [1195-1219]

1195Era gran feritore e grande arcíero.
     D’ambe le parti erano Morte e Marte
Del pari; e parimente i vincitori
E i vinti ora cadendo, ora incalzando,
Seguian la zuffa; nè viltà, nè fuga
1200Nè di qua nè di là vedeasi ancora.
L’ira, la pertinacia e le fatiche
Erano e quinci e quindi ardenti e vane.
E di questi e di quelli avean gli Dei,
Che dal ciel gli vedean, pietà e cordoglio.
1205Stava di qua Ciprigna e di là Giuno
A rimirarli; e pallida framezzo
Di molte mila infurïando andava
La nequitosa Erinni. Una grand’asta
Prese Mezenzio un’altra volta in mano
1210E turbato squassandola, del campo
Piantossi in mezzo, ad Orïon simíle
Quando co’ piè calca di Nèreo i flutti,
E sega l’onde, con le spalle sopra
A l’onde tutte; o qual da’ monti a l’aura
1215Si spicca annoso cerro, e ’l capo asconde
Infra le nubi. In tal sembianza armato
Stava Mezenzio. Enea tosto che ’l vede
Ratto incontro gli muove. Ed egli immoto
Di coraggio e di corpo ad aspettarlo


[754-771]