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494 l’eneide. [1145-1169]

1145Era un Greco bandito, Acron chiamato,
Novello sposo che, non giunto ancora
Con la sua donna, a le sue nozze il folle
Avea l’armi anteposte. E in quella mischia
D’ostro e d’òr riguardevole e di penne,
1150Sponsali arnesi e doni, ovunque andava,
Per le schiere facea strage e baruffa.
Mezenzio il vide; e qual digiuno e fiero
Leon da fame stimolato, errando
Si sta talor sotto la mandra, e rugge;
1155Se poi fugace damma, o di ramose
Corna gli si discopre un cervo avanti,
S’allegra, apre le canne, arruffa il dorso,
Si scaglia, ancide e sbrana, e ’l ceffo e l’ugne
D’atro sangue s’intride; in tal sembiante
1160Per mezzo de lo stuol Mezenzio altero
S’avventa. Acron per terra al primo incontro
Ne va rovescio; e l’armi e ’l petto infranto,
Sangue versando, e calcitrando, spira.
     Morto Acrone, ecco Oròde, che davanti
1165Gli si tolle. Ei lo segue: e non degnando
Ferirlo in fuga, o che fuggendo occulto
Gli fosse il feritor, lo giunge e ’l passa,
L’incontra, lo provòca, a corpo a corpo
Con lui s’azzuffa, che di forze e d’armi


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