Pagina:Eneide (Caro).djvu/532

[1070-1094] libro x. 491

1070I miei seguaci, e quei che m’han per capo
Di questa guerra, che da me son tutti
(Ahi vitupèro) abbandonati a morte?
E già rotti gli veggio, e già gli sento
Gridar cadendo. O me lasso! che faccio?
1075Qual è del mar la più profonda terra
Che mi s’apra e m’ingoi? A voi piuttosto,
Venti, incresca di me. Voi questo legno
Fiaccate in qualche scoglio, in qualche rupe,
Ch’io stesso lo vi chieggio; o ne le Sirti
1080Mi seppellite, ove mai più non giunga
Rutulo che mi veggia, o mi rinfacci
Questa vergogna e quest’infamia, ond’io
Sono a me consapevole e nimico.
     Così dicendo, un tanto disonore
1085In sè sdegnando, e di sè stesso fuori,
Strani, diversi e torbidi pensieri
Si volgea per la mente, o con la spada
Passarsi il petto, o traboccarsi in mezzo,
Sì com’era, del mare, e far, notando,
1090Pruova o di ricondursi ond’era tolto,
O d’affogarsi. E l’una e l’altra via
Tentò tre volte; e tre volte la Dea,
Di lui mossa a pietà, ne lo distolse.
Dal turbine e dal mar cacciato intanto


[672-687]