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[1020-1044] libro x. 489

1020Che si dice di notte ir vagabonde
L’ombre de’ morti, e che i sopiti sensi
Son da’ sogni delusi e da fantasme.
     Questa mentita imago anzi a le schiere
Lieta insultando, a Turno s’appresenta,
1025Lo provoca e lo sfida. E Turno incontra
Le si spinge e l’affronta: e pria da lunge
Il suo dardo le avventa, al cui stridore
Volg’ella il tergo e fugge. Ed ei sospinto
Da la vana credenza e da la folle
1030Sua speme insuperbito, la persegue
Con la spada impugnata, E dove, e dove,
Dicendo, Enea, ten fuggi? ove abbandoni
La tua sposa novella? Io di mia mano
De la terra fatale or or t’investo,
1035Che tanto per lo mar cercando andavi.
E gridando l’incalza, e non s’avvede
Che quel che segue e di ferir agogna,
Non è che nebbia che dal vento è spinta.
     Era per sorte in su la riva un sasso
1040Di molo in guisa; ed un navile a canto
Gli era legato, che la scala e ’l ponte
Avea su ’l lito, onde ne fu pur dianzi
Osinio, il re di Chiusi, in terra esposto.
In questo legno, di fuggir mostrando,


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