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12 l’eneide. [258-282]

Anzi un porto; chè porto un’isoletta
Lo fa, che in su la bocca al mare opponsi.
260Questa si sporge co’ suoi fianchi in guisa
Ch’ogni vento, ogni flutto, d’ogni lato
Che vi percuota, ritrovando intoppo,
O si frange, o si sparte, o si riversa.
Quinci e quindi alti scogli e rupi altissime,
265Sotto cui stagna spazïoso un golfo
Securo e queto: e v’ha d’alberi sopra
Tale una scena, che la luce e ’l sole
Vi raggia, e non penètra; un’ombra opaca,
Anzi un orror di selve annose e folte.
270D’incontro è di gran massi e di pendenti
Scogli un antro muscoso, in cui dolci acque
Fan dolce suono; e v’ha sedili e sponde
Di vivo sasso; albergo veramente
Di Ninfe, ove a fermar le stanche navi
275Nè d’àncora v’è d’uopo, nè di sarte.
Qui sol con sette, che raccolse a pena
Di tanti legni, Enea ricoverossi.
Qui stanchi tutti e maceri, e del mare
Ancor paurosi, i liti a pena attinsero,
280Ch’a a terra avidamente si gittarono.
Acate fece in pria selce e focile
Scintillar foco, e dielli esca e fomento.


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