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472 l’eneide. [595-619]

595Ne lo ritrasse. Isbon, di Lago amico,
Mentr’egli in ciò s’occúpa, ebbe speranza
Di vendicarlo, e ’ncontra gli si mosse.
Ma non gli riuscì: chè mentre incauto,
Dal dolor trasportato e da lo sdegno
600Del suo morto compagno, infurïava,
Ne la spada del giovine infilzossi
Da l’un de’ fianchi: onde trafitto e smunto
Ne fu di sangue il cor, d’ira il polmone.
Poscia Stènelo occise; occise appresso
605Anchèmolo. Costui fu de l’antica
Stirpe di Reto, incestuoso amante
Di sua matrigna. E voi, Laride e Timbro,
Figli di Dauco, ambi d’un parto nati,
Per le sue man cadeste. Eran costoro
610Sì l’un del tutto a l’altro somigliante,
Che dal padre indistinti e da la madre
Facean lor grato errore e dolce inganno.
Sol or Pallante (ahi! troppo duramente)
Vi fe diversi: ch’a te ’l capo netto,
615Timbro, recise; a te, Laride, in terra
Mandò la destra. E questa anche guizzando
Te per suo riconobbe, e con le dita
Strinse il tuo ferro, e ’l brancicò più volte.
Gli Arcadi da’ conforti e da le prove


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