Pagina:Eneide (Caro).djvu/48

[133-157] libro i. 7

Onde repente a stuolo i venti usciro.
Avean già co’ lor turbini ripieni
135Di polve e di tumulto i colli e i campi,
Quando quasi in un gruppo ed Euro e Noto
S’avventaron nel mare, e fin da l’imo
Lo turbâr sì che ne fer valli e monti;
Monti, ch’al ciel, quasi di neve aspersi,
140Sórti l’un dopo l’altro, a mille a mille
Volgendo, se ne gian caduchi e mobili
Con suono e con ruina i liti a frangere.
Il gridar, lo stridore, il cigolare
De’ legni, de le sarti e de le genti,
145I nugoli che ’l cielo e ’l dì velavano.
La buia notte ond’era il mar coverto,
I tuoni, i lampi spaventosi e spessi,
Tutto ciò che s’udia, ciò che vedevasi
Rappresentava orror, perigli e morte:
150Smarrissi Enea di tanto, e tale un gielo
Sentissi, che tremante al ciel si volse
Con le man giunte, e sospirando disse:
     O mille volte fortunati e mille
Color che sotto Troia e nel cospetto
155De’ padri e de la patria ebbero in sorte
Di morir combattendo! O di Tideo
Fortissimo figliuol, ch’io non potessi


[82-98]