895Fe’ l’asta di Temilla: e il male accorto,
Per su porvi la mano, abbandonato
Avea lo scudo; quando ecco volando
Venne una freccia che la mano e ’l fianco
Insieme gli confisse; e via passando 900Penetrògli al polmone. Il mortal colpo
Sì lo spirar de l’anima gli tolse,
Che non mai più spirò. Stavasi Arcente,
D’Arcente il figlio, in su’ ripari ardito
Egregiamente armato, e sopra l’arme 905D’una purpurea cotta era adobbato
Di ferrigno color, di drappo ibero;
Un giovine leggiadro, che dal padre
Fu nel bosco di Marte a l’armi avvezzo
Lungo al Simèto, u’ l’ara di Palico 910Tinta non come pria di sangue umano,
Più pingue e più placabile si mostra.
Mezenzio il vide: e l’altre armi deposte,
Prese la fromba, e con tre giri intorno
Se l’avvolse a la testa. Indi scoppiando 915Allentò ’l piombo, che dal moto acceso
Squagliossi, e con gran rombo in una tempia
Il garzon percotendo, ne l’arena
Morto, quanto era lungo, lo distese.
Ascanio che fin qui solo a la caccia