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416 l’eneide. [495-519]

     495Disse d’Ìrtaco il figlio: Or qui bisogna,
Eurïalo, aver core, oprar le mani,
E conoscere il tempo. Il cammin nostro
È per di qua. Tu qui ti ferma, e l’occhio
Gira per tutto, che non sia da tergo
500Chi n’impedisca; ed io tosto col ferro
Sgombrerò ’l passo, e t’aprirò ’l sentiero.
Ciò cheto disse. Indi Rannète assalse,
Il superbo Rannète, che per sorte
Entro una sua trabacca avanti a lui
505In su’ tappeti a grand’agio dormia,
E russava altamente. Era costui
A re Turno gratissimo, ed anch’egli
Rege e ’ndovino; ma non seppe il folle
Indovinar quel ch’a lui stesso avvenne.
510Tre suoi famigli, che dormendo appresso
Giacean fra l’armi rovesciati a caso,
Tutti in un mucchio uccise, ed un valletto
Ch’era di Remo, e sotto i suoi cavalli
Lo stesso auriga. A costui trasse un colpo
515Che gli mandò giù ciondoloni il collo:
Indi al padron di netto lo recise
Sì, che ’l sangue spicciando d’ogni vena,
La terra, lo stramazzo e ’l desco intrise.
Támiro estinse dopo questi e Lamo,


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