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[920-944] libro viii. 387

920De l’armate caterve; e i lustri e i lampi
Che facean l’armi, tra i virgulti e i dumi
Lungo le vie. Va per la schiera il grido
Che si cavalchi; e lo squadron già mosso,
Al calpitar de la ferrata torma,
925Fa ’l campo risonar tremante e trito.
È di Cere vicino, appo il gelato
Suo fiume un sacro bosco antico e grande
D’ombrosi abeti, che da cavi colli
Intorno è cinto, venerabil molto
930E di gran lunge. È fama che i Pelasgi,
Primi del Lazio occupatori esterni,
A Silvan, dio de’ campi e degli armenti,
Consecrâr questa selva, e con solenne
Rito gli dedicâr la festa e ’l giorno.
935Quinci poco lontano era Tarconte
Co’ Tirreni accampato; e qui del campo
Giunti a la vista, là ’ve un alto colle
Lo scopria tutto, Enea, co’ primi suoi
Fermossi, ove i cavalli e i corpi loro
940Già stanchi ebbero alfin posa e ristoro.
     Era Venere in Ciel candida e bella
Sovr’un etereo nembo apparsa intanto
Con l’armi di Volcano; e visto il figlio
Ch’oltre al gelido rio per erma valle


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