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382 l’eneide. [795-819]

795E tu il prendi, Signor, ch’abile e forte
Sei più d’ogni Troian, d’ogni Latino
A sostenerlo. Ed io Pallante mio,
La mia speranza e ’l mio sommo conforto,
Manderò teco; che ’l mestier de l’arme,
800Che le fatiche del gravoso Marte
Ne la tua scuola a tollerare impari:
E te da’ suoi prim’anni, e i gesti tuoi
Meravigliando ad imitar s’avvezze.
Dugento cavalieri, il nervo e ’l fiore
805De’ miei d’Arcadia, spedirò con lui,
E dugento altri il mio Pallante stesso
In suo nome daratti. Avea ciò detto
Evandro a pena, che d’Anchise il figlio
E ’l fido Acate ster co’ volti a terra
810Chinati. E da pensier gravi e molesti
Fòran oppressi, se dal ciel sereno
La madre Citerea segno non dava,
Sì come diè. Chè tal per l’aria un lume
Vibrossi d’improvviso e con tal suono,
815Che parve di repente il mondo tutto
Come scoppiando e ruinando ardesse;
Ed in un tempo di terrene tube
Squillar ne l’aura alto concento udissi.
Alzaron gli occhi; e la seconda volta,


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