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368 l’eneide. [445-469]

445Invitto iddio, che de le nubi i figli
Nilèo e Folo uccidi; tu che ’l mostro
Domi di Creta: tu che vinci il fiero
Nemèo leone; te gl’inferni laghi,
Te l’inferno custode ebbe in orrore
450Ne l’orrendo suo stesso e diro speco,
Là ’ve tra ’l sangue e le corrose membra
Ha de la morta gente il suo covile.
Cosa non è sì spaventosa al mondo,
Che te spaventi, non lo stesso armato
455Incontr’al ciel Tifèo, nè quel di Lerna
Con tanti e tanti capi orribil angue
Senza avviso ti vide o senza ardire.
A te vera di Giove inclita prole,
Umilmente inchinamo, a te del cielo
460Nuovo aggiunto ornamento. E tu benigno
Mira i cor nostri e i sacrifici tuoi.
     Così pregando e celebrando in versi
Cantavan le sue pruove. E sopra tutto
Dicean di Caco e de la sua spelonca
465E de’ suoi fochi: e i boschi e i colli intorno
Rispondean rintonando. Eran finiti
I sacrifici, quando il vecchio Evandro
Mosse vèr la cittade; e seco a pari
Da l’un de’ lati Enea, da l’altro il figlio


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