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366 l’eneide. [395-419]

395Più rogio, a lui che ’l vaporava indarno,
S’addusse, e lo ghermì; gli fece un nodo
De le sue braccia, e sì la gola e ’l fianco
Gli strinse, che scoppiar gli fece il petto,
E schizzar gli occhi; e ’l foco e ’l fiato e l’alma
400In un tempo gli estinse. Indi la bocca
Aprì de l’antro, e la frodata preda,
E del suo frodatore il sozzo corpo
Fuor per un piè ne trasse, a cui dintorno
Corser le genti a meraviglia, ingorde
405Di veder gli occhi biechi, il volto atroce,
L’ispido petto e l’ammorzato foco.
     Da indi in qua questo dì santo ogn’anno
Da’ nostri è lietamente celebrato,
E ne sono i Potizii i primi autori,
410E i Pinarii ministri. Allor quest’ara,
Che massima si disse, e che mai sempre
Massima ne sarà, fu consecrata,
In questo bosco. Or via dunque, figliuoli,
Per celebrar tant’onorata festa,
415Coi rami in fronte e con le tazze in mano
Il commun dio chiamate, e lietamente
L’un con l’altro invitatevi, e beete.
     Ciò detto, il divisato erculeo pioppo
Tesséro altri in ghirlande, altri in festoni,


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