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336 l’eneide. [895-919]

895L’armi chiedendo e la non giusta guerra,
Van di Latino a la magione intorno.
     Egli di rupe in guisa immoto stassi,
Di rupe che, nel mar fondata e salda
Nè per venti si crolla, nè per onde
900Che le fremano intorno, e gli suoi scogli
Son di spuma coverti e d’alga invano.
Ma poichè superar non puote il cieco
Lor malvagio consiglio, e che le cose
Givan di Turno e di Giunone a vòto,
905Molto pria con gli Dei, con le van’aure
Si protestò; poscia. Dal fato, disse,
Son vinto, e la tempesta mi trasporta.
Ma voi per questo sacrilegio vostro
Il fio ne pagherete. E tu fra gli altri,
910Turno, tu pria n’avrai supplizio e morte;
E preci e voti a tempo ne farai,
Ch’a tempo non saranno. Io, quanto a me,
Già de’ miei giorni e de la mia quïete
Son quasi in porto: e da voi sol m’è tolto
915Morir felicemente. E qui si tacque,
E ’l governo depose, e ritirossi.
     Era in Lazio un costume, che venuto
È poi di mano in man di Lazio in Alba,
E d’Alba in Roma, ch’or del mondo è capo,


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