Pagina:Eneide (Caro).djvu/359

318 l’eneide. [445-469]

445Ha fin qui nulla oprato? E che mi giova
Che sian del regno e de la patria in bando?
Che mi val ch’io mi sia con tutto il mare
A loro opposta? Ah! che del mar già tutte,
E del ciel contra lor le forze ho logre.
450E che le Sirti, e che Scilla e Cariddi
A me con lor son valse? Ecco han del Tebro
La desïata foce; e non han téma
Del mar più, nè di me. Marte potéo
Disfar la gente de’ Lapìti immane;
455Potè Diana aver da Giove in preda
Del suo disegno i Calidòni antichi,
Quando de’ Calidòni e de’ Lapìti,
Vèr le pene, era il fallo o nullo o leve:
Ed io consorte del gran Giove e suora,
460Misera, incontro a lor che non ho mosso?
Che di me non ho fatto? E pur son vinta.
Enea, Enea mi vince. Ah se con lui
Il mio nume non può, perchè d’ognuno,
Chiunque sia, non ogni aita imploro?
465Se mover contra lui non posso il cielo,
Moverò l’Acheronte. Oh non per questo
Il fato si distorna; ed ei non meno
Di Latino otterrà la figlia e ’l regno.
Che più? Lo tratterrò: gli darò briga:


[299-315]