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306 l’eneide. [145-169]

     145In questa guisa il re Latino stesso
Al vaticinio del suo padre intento
Cento pecore ancide, e i velli e i terghi
Nel suol ne stende, e vi s’involve e corca:
Ed ecco un’alta repentina voce
150Che, de la selva uscendo, intuona e dice:
Invan, figlio, procuri, invan t’imagini
Che tua figlia s’ammogli a sposo ausonio,
Vane e nulle saran le sponsalizie
Ch’or le prepari. Di lontano un genero
155Venir ti veggio, per cui sopra a l’etera
Salirà il nostro nome; e i nostri posteri
Ne vedran sotto i piè quanto l’Oceano
D’ambi i lati circonda e ’l sole illumina.
     Questa risposta e questi avvertimenti,
160Perchè di notte e di secreta parte
Fosser da Fauno usciti, il re non tenne
In sè stesso celati; anzi la fama
Per le terre d’Ausonia gli spargea,
Quando la frigia armata al Tebro aggiunse.
     165Enea col figlio e co’ suoi primi duci
A l’ombre d’un grand’albero in disparte
Degli altri a prender cibo insieme unissi.
Eran su l’erba agiati; e, come avviso
Creder si dee che del gran Giove fosse,


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