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286 | l'eneide | [1020-1044] |
1020Gli annoverava, essaminava i fati,
Le fortune, il valor di mano in mano,
Gli ordini e i tempi loro. Enea comparve
Sul campo intanto; a cui, tosto che ’l vide,
Lieto Anchise avventossi, e con le braccia
1025In atto d’accoglienza: O figlio, disse
Dolcemente piangendo, io pur ti veggio,
Pur sei venuto, ha pur la tua pietade
Superati i disagi e la durezza
Di sì strano viaggio. Ecco m’è dato
1030Di veder, figlio, il tuo bramato aspetto,
E sentirti e parlarti. Io di ciò punto
Non era in forse, e sol pensava al quando,
Contando i giorni. Oh dopo quanti affanni,
Dopo quanti perigli, e quanti storpii
1035E di mare e di terra io ti riveggio!
E quanto ebbi timor che di Cartago
Venisse al corso tuo sinistro intoppo!
Ed egli a lui: La sconsolata imago,
Che m’è, padre, di te sovente apparsa,
1040Per te per te veder qua giù m’ha tratto:
E di sopra fin qui salvo a la riva
Del mar Tirreno il mio navile è sorto.
Or dammi, padre mio, dammi ch’io giunga
La mia con la tua destra, e grazia fammi
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