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270 l’eneide. [620-644]

620Una tal soporifera mistura,
La gittò dentro a le bramose canne.
Egli ingordo, famelico e rabbioso
Tre bocche aprendo, per tre gole al ventre
Trangugiando mandolla, e con sei lumi
625Chiusi dal sonno, anzi col corpo tutto
Giacque ne l’antro abbandonato e vinto.
     Cerbero addormentato, occupa Enea
D’Erebo il passo, e ratto s’allontana
Dal fiume, cui chi varca unqua non riede.
     630Sentono al primo entrar voci e vagiti
Di pargoletti infanti, che dal latte
E da le culle acerbamente svelti
Vider ne’ primi dì l’ultima sera.
Varcano appresso i condannati e morti
635Senza lor colpa, e non senza compenso
Di giudizio e di sorti. Han quelle genti
Così disposti e divisati i lochi.
     Sta Minos ne l’entrata, e l’urna avanti
Tien de’ lor nomi, e le lor vite essamina,
640E le lor colpe; e quale è questa o quella,
Tal le dà sito, e le rauna e parte.
     Passan di mano in mano a quei che feri
Incontro a sè, la luce in odio avendo
E l’alme a vile, anzi al prescritto giorno


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