Pagina:Eneide (Caro).djvu/310

[595-619] libro vi. 269

595Questo almen riconosci. E fuor del seno
D’oro il tronco traendo, altro non disse.
     Ei rimirando il venerabil dono
De la verga fatal, già di gran tempo
Non veduto da lui, l’orgoglio e l’ira
600Tosto depose, e la sua negra cimba
A lor rivolse, e ne la ripa stette.
Indi i banchi sgombrando e ’l legno tutto,
L’anime che già dentro erano assise
Con súbito scompiglio uscir ne fece,
605E ’l grand’Enea v’accolse. Allor ben d’altro
Parve che d’ombre carco; e sì com’era
Mal contesto e scommesso, cigolando
Chinossi al peso, e più d’una fissura
A la palude aperse. Alfin pur salvi
610Ne l’altra ripa, tra le canne e i giunchi
Sul palustre suo limo ambi gli espose.
     Giunti che furo, il gran Cerbero udiro
Abbaiar con tre gole, e ’l buio regno
Intonar tutto; indi in un antro immenso
615Sel vider pria giacer disteso avanti,
Poi sorger, digrignar, rabido farsi,
Con tre colli arruffarsi, e mille serpi
Squassarsi intorno. Allor la saggia maga,
Tratta di mèle e d’incantate biade


[406-420]