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268 l’eneide. [570-594]

570Ten vai sì baldanzoso; e di costinci,
Di’ chi sei, quel che cerchi, e perchè vieni:
Chè notte solamente e sonno ed ombre
Han qui ricetto, e non le genti vive,
Cui di varcare al mio legno non lece.
575E s’Ercole e Tesèo e Piritòo
Già v’accettai, scorno e dolore io n’ebbi;
Chè l’un d’essi il tartarëo custode
Incatenovvi, e, di sotto anco al seggio
Del proprio re, tremante a l’aura il trasse;
580E gli altri alfin dal maritale albergo
Rapir di Dite la regina osaro.
     Nulla di queste insidie, gli rispose
La profetessa, a macchinar si viene.
Stanne sicuro; e quest’arme a difesa
585Si portan solamente, e non ad onta.
Spaventi il can trifauce a suo diletto
Le pallid’ombre; eternamente latri
Ne l’antro suo; col suo marito e zio
Si stia casta Proserpina mai sempre,
590Chè di nulla cen cale. Enea troiano
È questi di pietà famoso e d’armi,
Che per disio del padre infino al fondo
De l’Erebo discende; e se l’esempio
Di tanta carità non ti commove,


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