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[295-319] libro vi. 257

295Indi tra frondi e frondi il color d’oro,
Che diverso dal verde uscía raggiando,
Di tremulo splendor l’aura percosse.
     Come ne’ boschi al brumal tempo suole
Di vischio un cesto in altrui scorza nato
300Spiegar verdi le frondi e gialli i pomi,
E con le sue radici ai non suoi rami
Abbarbicarsi intorno; così ’l bronco
Era de l’oro avviticchiato a l’elce,
Ond’era surto, e così lievi al vento
305Crepitando movea l’aurate foglie.
Tosto che ’l vide Enea di piglio dielli,
E disïoso, ancor che duro e valido
Gli sembrasse, a la fin lo svelse; e seco
A l’indovina vergine lo trasse.
     310Non s’intermise di Miseno intanto
Condur l’essequie al suo cenere estremo.
E primamente la gran pira estrutta,
Di pingui tede e di squarciati roveri
V’alzâr cataste: di funeste frondi,
315D’atri cipressi ornâr la fronte e i lati,
E piantâr ne la cima armi e trofei.
Parte di loro al foco, e parte a l’acque,
E parte intorno al freddo corpo intenti,
Chi lo spogliò, chi lo lavò, chi l’unse.

Caro. — 17. [204-219]