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252 l’eneide. [170-194]

170I perigli, i disagi e le tempeste
Del mar, del cielo e de l’età soffrendo,
Vèglio, debile e stanco, ha me seguíto;
Ed egli stesso m’ha nel sonno imposto
Che a te ne venga, e per tuo mezzo a lui
175Mi riconduca. Abbi pietà, ti priego,
E del padre e del figlio; ed ambi insieme
Come puoi (che puoi tutto) or ne congiungi
Ch’Ècate non indarno a queste selve
T’ha d’Averno preposta. Il tracio Orfeo
180(Sola mercè de la sonora cetra)
Scender potevvi, e richiamarne in vita
L’amata donna. Ne potè Polluce
Ritrarre il frate, ed a vicenda seco
Vita e morte cangiando, irvi e redirvi
185Tante fïate. Andovvi Tèseo; andovvi
Il grande Alcide; ed ancor io dal cielo
Traggo principio, e son da Giove anch’io.
     Così pregando avea le braccia avvinte
Al sacro altare, allor che la sibilla
190A dir riprese: Enea, germe del cielo,
Lo scender ne l’Averno è cosa agevole,
Chè notte e dì ne sta l’entrata aperta;
Ma tornar poscia e riveder le stelle,
Qui la fatica e qui l’opra consiste.


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