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246 l’eneide. [20-44]

20Il bel tempio si vide. È fama antica
Che Dedalo, di Creta allor fuggendo
Ch’ebbe ardimento di levarsi a volo
Con più felici e con più destre penne
Che ’l suo figlio non mosse, il freddo polo
25Vide più presso; e per sentier non dato
A l’uman seme, a questo monte alfine
Del Calcidico seno il corso volse.
Qui giunto e fermo, a te, Febo, de l’ali
L’ordigno appese, e ’l tuo gran tempio eresse,
30Ne le cui porte era da l’un de’ lati
D’Andrògëo la morte, e quella pena
Che di Cècrope i figli a dar costrinse
Sette lor corpi a l’empio mostro ogn’anno:
Miserabil tributo! e v’era l’urna,
35Onde a sorte eran tratti. Eravi Creta
Da l’altro lato, alto dal mar levata,
Ch’avea del tauro istorïata intorno
E di Pasífe il bestïale amore,
E la bestia di lor nata biforme,
40Di sì nefando ardor memoria infame.
Eravi l’intricato laberinto:
Eravi il filo, onde gl’intrighi suoi
E le sue cieche vie Dedalo stesso,
Per pietà ch’ebbe a la regina, aperse.


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