Sereno e queto: e te, buon Palinuro, 1195Senza tua colpa, insidïoso assalse
Portando a gli occhi tuoi tenebre eterne.
Ei di Forbante marinaro esperto
Presa la forma, come noto, appresso
In su la poppa gli si pose, e disse: 1200Tu vedi, Palinuro, il mar ne porta
Con le stesse onde, e ’l vento ugual ne spira.
Temp’è che pòsi omai: china la testa,
E fuga gli occhi a la fatica un poco,
Poscia ch’io son qui teco e per te veglio. 1205Cui Palinuro, già gravato il ciglio,
Così rispose: Ah! tu non credi adunque
Ch’io conosca del mar le perfid’onde,
E ’l falso aspetto? A tale infido mostro
Ch’io fidi il mio signore e i legni suoi? 1210Ch’al fallace sereno, ai venti instabili
Presti fede io, che son da lor deluso
Già tante volte? E ciò dicendo, avea
Le man ferme al timon, gli occhi a le stelle.
Il Sonno allora di letèo liquore, 1215E di stigio veleno un ramo asperso
Sovra gli scosse, e l’una tempia e l’altra
Gli spruzzò sì, che gli occhi ancor rubelli