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[1120-1144] libro v. 239

1120Mosse lor contra (tua mercede) invano.
Or ha l’iniqua per le mani stesse
De le teucre matrone i teucri legni
Dati sì bruttamente al foco in preda,
Perchè i meschini, arse le navi loro,
1125Sian di lasciare i lor compagni astretti
Per le terre straniere. Or quel che resta,
E ch’a te chieggo, è che il tuo regno omai
Sia lor sicuro, e ch’una volta alfine
Tocchin del Tebro e di Laurento i campi.
1130Se però quel ch’io chieggo è che dal cielo
Al mio figlio si debba, e se quel seggio
Ne dan le Parche e ’l fato. A lei de l’onde
Rispose il domatore: Ogni fidanza
Prender puoi, Citerea, ne’ regni miei,
1135Onde tu pria nascesti. E non son pochi
Ancor teco i miei merti; chè più volte
Ho per Enea l’ira e il furore estinto
E del mare e del cielo. Ed anco in terra
Non ebb’io (Xanto e Simoenta il sanno)
1140De la salute sua cura minore,
Allor ch’Achille a le troiane schiere
Sì parve amaro, e che fin sotto al muro
Le cacciò d’Ilio, e tal di lor fe strage,
Che ne gir gonfi e sanguinosi i fiumi;


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