Pagina:Eneide (Caro).djvu/276

[1020-1044] libro v. 235

1020Il troian duce; e trapassando d’uno
In un altro pensiero, era già notte,
Quando l’imago del suo padre Anchise
Veder gli parve, che dal ciel discesa
In tal guisa dicesse: O figlio, amato
1025Vie più de la mia vita infin ch’io vissi,
Figlio, che segno sei de le fortune,
E del fato di Troia, io qui mandato
Son dal gran Giove, che dal ciel pietoso
Ti mirò dianzi, e i tuoi legni ritolse
1030Da l’orribile incendio. Attendi al detto
Del vecchio Naute, e ne l’Italia adduci
(Sì come ei fedelmente ti consiglia)
De la tua gioventù soli i più scelti,
I più sani, i più forti e i più famosi,
1035Ch’ivi aspra gente e ruvida e feroce
Domar convienti. Ma convienti in prima
Per via d’Averno ne l’inferno addurti,
E meco ritrovarti, ov’ora io sono,
Figlio, non già nel Tartaro, o fra l’ombre
1040De le perdute genti; ma felice
Tra i felici e tra’ pii, per quelli ameni
Elisii campi mi diporto e godo.
A questi lochi, allor che molto sangue
Avrai di negre pecorelle sparso,


[719-736]