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216 l’eneide. [545-569]

545Al toro avvicinossi, e il destro corno
Con la sinistra sua gli prese e disse:
Signor, poichè non è chi meco ardisca
Di stare a pruova, a che più bado? e quanto
Badar più deggio? Or di’ che ’l pregio è mio
550Perch’io meco l’adduca. A ciò fremendo
Assentirono i Teucri; e già co’ gridi
De l’onor lo facean degno e del dono;
Quando verso d’Entello il vecchio Aceste,
Sì come gli era in un cespuglio a canto,
555Si volse e rampognando: Ah! disse, Entello,
Tu sei pur fra gli eroi de’ nostri tempi
Il più noto e ’l più forte; e come soffri
Ch’un sì gradito pregio or ti si tolga
Senza contesa? Adunque è stato invano
560Fin qui da noi rammemorato e cólto
Èrice, in ciò nostro maestro e dio?
Ov’è la fama tua che ancor si spande
Per la Trinacria tutta? Ove son tante
Appese a i palchi tue famose spoglie?
     565Rispose Entello: Nè disio d’onore,
Nè vaghezza di gloria unqua, signore,
Mi lasciâr mai nè mai viltà mi prese:
Ma l’incarco degli anni, il freddo sangue,
E la scemata mia destrezza e forza


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