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210 l’eneide. [395-419]

395Sergesto, col suo legno infranto e monco
E tarpato de’ remi, in vèr la terra
Se ne venía disonorato e mesto.
     Com’angue suol, ch’o sia da ruota oppresso
Tra la ripa e ’l sentiero, o sia di sasso
400Dal viator percosso o di randello,
Procacciando fuggir, con lunghe spire
S’arrosta indarno, e inalberato e fiero
Dal mezzo in suso arde negli occhi e fischia:
E d’altra parte dilombato e tardo
405Debilmente guizzando, in sè medesmo
Si ripiega, s’attorce e si raggroppa;
Così co’ remi la fiaccata nave
Se ne gía lenta, e con le vele a volo,
Ch’a piene vele al fine in porto aggiunse.
     410Ed a Sergesto anco i suoi doni assegna
Il padre Enea, di ricovrar contento
Il suo buon legno e i suoi fidi compagni.
E furo i doni una cretese ancella,
Fòloe di nome, e di telaro e d’aco
415Maestra esperta e da Minerva instrutta,
Giovine e bella, e con due figli al petto.
Questo primo spettacolo compito,
Enea per gli altri una pianura elegge
Che di teatro in guisa d’ogn’intorno


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