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[320-344] libro iv. 163

320Padre, a cui tanti opimi e sontuosi
Conviti, e di Lenèo sì larghi onori
Offrisce oggi de’ Mauri il gran paese,
Vedi tu queste cose? o pure invano
Tonando e folgorando ci spaventi?
325Una femina errante, una che dianzi
Ebbe a prezzo da me nel mio paese,
Per fondar la sua terra, un picciol sito;
Una ch’arena ha per arare, ha vitto,
Loco e leggi da me, me per marito
330Rifiuta; e di sè donno e del suo regno
Ha fatto Enea. Questo or novello Pari
Con quei suoi delicati e molli eunuchi,
Mitrato il mento e profumato il crine,
Va del mio scorno e del suo furto altero:
Ed io qui me ne sto vittime e doni
335A te porgendo, e sòn tuo figlio indarno.
     Così Iarba dicea; nè da l’altare
S’era ancor tolto, quando il Padre udillo;
E gli occhi in vèr Cartagine torcendo
Vide gli amanti ch’a gioire intesi
340Avean posti in oblio la fama e i regni.
Onde vòlto a Mercurio: Va’, figliuolo,
Gli disse; chiama i venti, e ratto scendi
Là ’ve sì neghittoso il troian duce


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