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154 l’eneide. [95-119]

95Nel cor, ne le midolle e ne le vene
È la piaga e la fiamma, ond’arde e père.
Arde Dido infelice, e furïosa
Per tutta la città s’aggira e smania:
Qual ne’ boschi di Creta incauta cerva
100D’insidïoso arcier fugge lo strale
Che l’ha già colta; e seco, ovunque vada,
Lo porta al fianco infisso. Or a diporto
Va con Enea per la città, mostrando
Le fabriche, i disegni e le ricchezze
105Del suo nuovo reame; or disiosa,
Di scoprirgli il suo duol prende consiglio:
Poi non osa, o s’arresta. E quando il giorno
Va dechinando, a couvivar ritorna,
E di nuovo a spiar degli accidenti
110E de’ fati di Troia, e nuovamente
Pende dal volto del facondo amante.
Tolti da mensa, allor che notte oscura
In disparte gli tragge, e che le stelle
Sonno, dal ciel caggendo, a gli occhi infondono
115Dolente, in solitudine ridotta,
Ritirata dagli altri, è sol con lui
Che le sta lunge, e lui sol vede e sente.
Talvolta Ascanio il pargoletto figlio
Per sembianza del padre in grembo accolto,


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