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146 l’eneide. [1045-1069]

1045Giunto a la riva, entrò ne l’onde a guazzo;
E pria de l’occhio la sanguigna cispa
Lavossi, ad or ad or per ira i denti
Digrignando e fremendo: indi si stese
Per entro ’l mare, e nel più basso fondo
1050Fu pria co’ piè che non fur l’onde a l’anche.
     Noi per paura, ricevuto in prima,
Come ben meritò, l’ospite greco,
Di fuggir n’affrettammo; e chetamente
Sciolte le funi, a remigar ne demmo
1055Più che di furia. Udì ’l ciclope il suono
E ’l trambusto de’ remi: e vòlti i passi
Vèr quella parte e ’l suo gran pino a cerco,
Poichè lungi sentinne, e lungamente
Pensò seguirne per l’Ionio in vano,
1060Trasse un mugghio, che ’l mare, i liti intorno
Ne tremâr tutti, ne sentì spavento
Fino a l’Italia: ne tonaron quanti
La Sicania avea seni, Etna caverne.
L’udîr gli altri ciclopi, e da le selve
1065E da’ monti calando, in un momento
Corsero al porto, e se n’empiero i liti.
Gli vedevam da lunge in su l’arena,
Quantunque indarno, minacciosi e torvi
Stender le braccia a noi, le teste al cielo:


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