Pagina:Eneide (Caro).djvu/182

[920-944] libro iii. 141

920Entro una selva stemmo, non sapendo
Le cagion d’essi, e di cercarle ogn’uso
Ne si togliea, poichè ’l paese conto
Non c’era: nè stellato, nè sereno
Si vedea ’l ciel, ma fosco e nubiloso,
925E tra le nubi era la luna ascosa.
     Già del giorno seguente era il mattino,
E chiaro albore avea l’umido velo
Tolto dal mondo; quando ecco dal bosco
Ne si fa ’ncontro un non mai visto altrove
930Di strana e miserabile sembianza,
Scarno, smunto e distrutto: una figura
Più di mummia che d’uomo. Avea la barba
Lunga, le chiome incolte, indosso un manto
Ricucito di spini: orrido tutto,
935E squallido e difforme, con le mani
Verso il lito distese, a lento passo
Venía mercè chiedendo. Era costui,
Come prima ne parve e poscia udimmo,
Greco, e di quei che militaro a Troia.
940Onde noi per Troiani e i nostri arnesi
E le nostr’armi conoscendo, in prima
Attonito fermossi; e poscia quasi
Rincorato a noi venne, e con preghiere
E con pianto ne disse: Oh! se le stelle,


[583-599]