Pagina:Eneide (Caro).djvu/163

122 l’eneide. [445-469]

445Queste minacce; voi di caso tale
Ne liberate; e voi giusti e voi buoni
Siate pietosi a noi ch’empii non siamo.
     Indi ratto comanda che dal lito
Si disciolgano i legni. Entriam nel mare,
450Spieghiam le vele agli austri, e via per l’onde
Spumose a tutto corso in fuga andiamo
Là ’ve ’l vento e ’l nocchier ne guida e spinge.
E già d’alto apparir veggiam le selve
Di Zacinto; passiam Dulichio e Same;
455Varchiam Nèrito alpestro; e via fuggendo,
E bestemmiando, trapassiam gli scogli
D’Itaca, imperio di Laerte, e nido
Del fraudolente Ulisse. Indi ne s’apre
Il nimboso Leucáte, e quel che tanto
460A’ naviganti è spaventoso, Apollo.
Ivi stanchi approdammo; ivi gittate
L’ancore, ed accostati i legni al lito,
Ne la picciola sua cittade entrammo.
     Grata vie più quanto sperata meno
465Ne fu la terra; onde purgati ergemmo
Altari e voti, ed ostie a Giove offrimmo.
E d’Azio in su la riva festeggiando,
Ignudi ed unti, uscîr de’ miei compagni
I più robusti, e, com’è patria usanza,


[265-281]