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[320-344] libro iii. 117

320Ma chi mai ne l’Esperia avria creduto
Che regnassero i Teucri? E chi credea
In quel tempo a Cassandra? Ora, mio figlio,
Cediamo a Febo; e ciò che ’l dio del vero
Ne dà per meglio, per miglior s’elegga.
     325Ciò disse, e i detti suoi tosto esseguimmo;
Ed ancor questa terra abbandonammo,
Se non se pochi. N’andavamo a vela
Con second’aura; e già d’alto mirando,
Non più terra apparia, ma cielo ed acqua
330Vedevam solamente; quando oscuro
E denso e procelloso un nembo sopra
Mi stette al capo, onde tempesta e notte
Ne si fece repente, e di più siti
Rapidi uscendo imperversaro i venti;
335S’abbuiò l’aria, abbaruffossi il mare,
E gonfiaro altamente e mugghiâr l’onde.
Il ciel fremendo, in tuoni, in lampi, in folgori
Si squarciò d’ogni parte. Il giorno notte
Féssi, e la notte abisso: e l’un da l’altro
340Non discernendo Palinuro stesso
De la via diffidossi e de la vita.
     Così tolti dal corso, e quinci e quindi
Per lo gran golfo dissipati e ciechi,
Da buio e da caligine coverti,


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