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110 l’eneide. [145-169]

145Danne, padre Timbrèo, propria magione,
E propria terra, ove già stanchi abbiamo
Posa e ristoro, e ne dà’ stirpe e nido
Opportuno, durabile e securo;
Danne Troia novella; e de’ Troiani
150Serba queste reliquie, che avanzate
Sono a pena agli storpi, a le ruine,
Al foco, a’ Greci, al dispietato Achille.
Mostrane chi ne guidi, ove s’indrizzi
Il nostro corso, a qual fia ’l nostro seggio.
155Coi tuoi più chiari e manifesti augúri,
Signor, tu ne predici e tu n’ispira.
     Avea ciò detto a pena, che repente
Il limitare, il tempio, e ’l monte tutto
Crollossi intorno; scompigliârsi i lauri;
160Aprissi, e dagli interni suoi ridotti
Mugghiò la formidabile cortina.
Noi riverenti a terra ne gittammo;
E ’l suon, ch’era confuso, a l’aura uscendo,
Articolossi, e così dire udissi:
     165Dardanidi robusti, onde l’origine
Traeste in prima, ivi ancor lieto e fertile
Di vostra antica madre il grembo aspettavi.
Di lei dunque cercate; a lei tornatevi:
Ch’ivi sovr’ogni gente, in tutti i secoli


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