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[70-94] libro iii. 107

70Col sangue mio le consanguinee mani?
Chè nè di patria nè di gente esterno
Son io da te, nè questo atro liquore
Esce da sterpi, ma da membra umane.
Ah! fuggi, Enea, da questo empio paese,
75Fuggi da questo abbominevol lito:
Chè Polidoro io sono, e qui confitto
M’ha nembo micidiale e ria semenza
Di ferri e d’aste che dal corpo mio
Umor preso e radici, han fatto selva.
     80A cotal suon, da dubia téma oppresso,
Stupii, mi raggricciai, muto divenni,
Di Polidoro udendo. Un de’ figliuoli
Era questi del re, ch’al tracio rege
Fu con molto tesoro occultamente
85Accomandato allor che da’ Troiani
Incominciossi a diffidar de l’armi,
E temer de l’assedio. Il rio tiranno,
Tosto che a Troia la fortuna vide
Volger le spalle, anch’ei si volse, e l’armi
90E la sorte seguì de’ vincitori;
Sì che, de l’amicizia e de l’ospizio
E de l’umanità rotta ogni legge,
Tolse al regio fanciul la vita e l’oro.
     Ahi de l’oro empia ed essecrabil fame!


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