Pagina:Eneide (Caro).djvu/129

88 l’eneide. [920-944]

920Ad ogni ingiuria esposta. Allora in dietro
Mi volsi per veder che gente meco
Fosse de’ miei seguaci; e nullo intorno
Più non mi vidi: chè tra stanchi e morti,
E feriti e storpiati, altri dal ferro,
925Altri da le ruine, altri dal foco,
M’avean già tutti abbandonato. In somma
Mi trovai solo. Onde, smarrito errando,
E d’ogn’intorno rimirando, al lume
Del grand’incendio, ecco mi s’offre agli occhi
930Di Tindaro la figlia che nel tempio
Se ne stava di Vesta, in un reposto
E secreto ridotto ascosa e cheta;
Elena, dico, origine e cagione
Di tanti mali, e che fu d’Ilio e d’Argo
935Furia commune. Onde communemente
E de’ Greci temendo e de’ Troiani,
E de l’abbandonato suo marito,
S’era in quel loco, e ’n sè stessa ristretta,
Confusa, vilipesa ed abborrita
940Fin dagli stessi altari. Arsi di sdegno,
Membrando che per lei Troia cadea;
E ’l suo castigo e la vendetta insieme
De la mia patria rivolgendo. Adunque,
Dicea meco, impunita e trionfante


[563-577]