Pagina:Eneide (Caro).djvu/125

84 l’eneide. [820-844]

820Eran nel suo serraglio: quale, e quanta
Speranza de’ figlioli e de’ nipoti!
Quanti fregi, quant’oro, quante spoglie,
E quant’altre ricchezze! e tutte insieme
Periro incontinente: e dove il foco
825Non era, erano i Greci. Or, per contarvi
Qual di Prĩamo fosse il fato estremo,
Egli, poscia che presa, arsa e disfatta
Vide la sua cittade, e i Greci in mezzo
Ai suoi più cari e più riposti alberghi;
830Ancor che vèglio e debole e tremante,
L’armi, che di gran tempo avea dismesse,
Addur si fece; e d’esse inutilmente
Gravò gli omeri e ’l fianco; e come a morte
Devoto, ove più folti e più feroci
835Vide i nemici, incontr’a lor si mosse.
     Era nel mezzo del palazzo a l’aura
Scoperto un grand’altare, a cui vicino
Sorgea di molti e di molt’anni un lauro
Che co’ rami a l’altar facea tribuna,
840E con l’ombra a’ Penati opaco velo.
Qui, come d’atra e torbida tempesta
Spaventate colombe, a l’ara intorno
Avea le care figlie Ecuba accolte;
Ove agl’irati Dei pace ed aita


[503-517]