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quella ovazione voleva esprimergli la gioia di rivederlo e la speranza che sarebbe rimasto tutto l’inverno a Roma.

La vera vita della capitale incominciò in quell’anno ai 20 di gennaio. Prima Roma era vuota di forestieri per il timore incusso nella gente, che vi viene di fuori con lo scopo di vivere in pace e di divertirsi, che nascessero torbidi per il tanto strombazzato comizio al Colosseo. E i timori non erano vani. Si parlava di un moto insurrezionale, che doveva scoppiare in Toscana, di uno sbarco in Maremma, e il comizio aveva richiamato a Roma tutti i capi più noti dell’Internazionale. Anche gli albergatori qui erano cosi sgomenti che non osavano rifiutare ad essi gli alloggi, e a molti l’accordavano anche senza compenso. Le misure prese dal Lanza fecero rinascere la fiducia e nel gennaio Roma incominciò a ripopolarsi di forestieri.

Il giorno 10, appena la Camera si aprì dopo le ferie, il presidente Biancheri comunicò che il duca di Sermoneta, deputato del 5° collegio di Roma, aveva date le dimissioni. Su proposta di Francesco Crispi, il quale pregò la Camera di non accettare le dimissioni di un deputato, che aveva avuta tanta parte nel restituir Roma all’Italia, le dimissioni furono respinte all’unanimità.

In quella stessa seduta il deputato Massari domandò al Presidente del Consiglio se fosse confermata la notizia della morte di Napoleone III; in tal caso egli a nome dei suoi amici non avrebbe potuto fare a meno di esprimere il profondo cordoglio per la morte di un uomo, che tanto fece per l’Italia, e al quale la storia attribuirà come titolo di gloria quello di aver potentemente contribuito a fondare l’indipendenza italiana. Il Lanza rispose che non era pervenuta alcuna comunicazione ufficiale al Governo italiano intorno alla morte del già imperatore dei francesi, ma da telegrammi giunti a parecchie famiglie, che erano con lui legate da parentela, si aveva motivo di credere che la dolorosa notizia fosse purtroppo vera. Perciò il Presidente del Consiglio aderiva alle parole del deputato Massari, come riteneva si sarebbe associato tutto il paese, nel deplorare la morte del già imperatore dei francesi, il quale cosi grandemente contribuì col consiglio e con le armi al trionfo della causa nazionale.

Molti deputati dettero segni di viva approvazione, e questa fu tutta l’orazione funebre che Napoleone III ebbe dagli eletti del popolo. Dopo, il suo nome non fu pronunziato nell’aula di Montecitorio altro che per chiedere al Governo di prendere provvedimenti contro il municipio di Firenze, perché l’on. Ubaldino Peruzzi si era associato ai funerali dell’imperatore nel tempio di Santa Croce, e contro gli ufficiali che in tenuta avevano assistito a quei funerali.

Il Senato, dietro proposta del Borromeo, aveva votato un ordine del giorno esprimente il rammarico per la morte di Napoleone. Era ben poco per l’alleato del 1859; ma eravamo a Roma, e il Governo non poteva far di più.

Vien fatto di pensare come il ministero Lanza era mal servito dai suoi diplomatici, quando si sente dire al Lanza nel pomeriggio del giorno 10 che non aveva avuto ancora comunicazione ufficiale della morte di Napoleone III. La sera prima il conte Wimpffen, ministro di Austria-Ungheria presso il Re, dava nella sua abitazione al palazzo di don Mario Massimo all’Aracoeli un pranzo al quale assistevano Visconti-Venosta, il signor Fournier, Marco Minghetti, sir Augustus Paget, ministro d’Inghilterra, ed altri diplomatici. Sul finire del pranzo il Paget ebbe un dispaccio col quale il suo Governo gli annunziava la morte di Napoleone III, avvenuta a Chiselhurst. Più tardi gl’invitati del ministro Wimpffen andavano a un ricevimento dalla duchessa Sforza-Cesarini, e vi recavano la notizia, che già era a conoscenza del cardinal Bonaparte e del conte Arese, fido e antico amico di Napoleone III.